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Tra psicoanalisi e fenomenologia

Psicoanalisi e fenomenologia nascono agli inizi del 900, nella stessa area geografica, attingendo al medesimo contesto culturale e con l'obbiettivo comune di elevare la soggettività umana ad oggetto di scienza.

L'approccio clinico che si rifà a queste due correnti di pensiero, diverse ma anche capaci di comunicare e in parte di integrarsi, si rivolge innanzitutto al vissuto emotivo della persona, ponendo in secondo piano il comportamento esteriore e i pensieri coscienti.
Esso non si configura come un metodo tecnicistico e prescrittivo, ma pone l'accento sulla relazione terapeutica e sull'assetto interno dell'analista come fondamentali strumenti di cura.

 

Da questa prospettiva la sofferenza mentale appare come un aspetto che in diversa misura può riguardare ognuno di noi, dal momento che proprio la fragilità rappresenta una delle caratteristiche fondamentali e irriducibili della condizione umana.

Il sintomo è inteso allo stesso tempo come una manifestazione di sofferenza e come un tentativo di autocura che la persona mette in atto, senza esserne pienamente consapevole. L'intervento terapeutico non mira a rintracciarne le cause o a riportarlo sotto controllo, ma è volto innanzitutto a comprendere ciò che il sintomo stesso comunica in riferimento al soggetto.

Cercare di comprendere che cosa la persona prova nell'incontrare se stessa e gli altri e quali significati assume la sua esperienza soggettiva diventa l'aspetto più rilevante del percorso di cura. Tale comprensione si basa sull'ascolto e sulla capacità di sentire insieme all'altro, che lo psicoterapeuta può maturare solo attraverso la psicoanalisi sistematica e prolungata nel tempo dei propri vissuti interni e della propria storia di relazioni.

L'approccio psicoanalitico fenomenologico non si rivolge a determinate categorie di sintomi, ma ad ogni persona intesa nella sua interezza, come unità mente-corpo particolare e irripetibile. Il sintomo specifico, inserito nel contesto della vita psichica e relazionale del soggetto, non appare più come qualcosa di estraneo o di assurdo, ma acquisisce un senso, legato alle esperienze presenti e passate della persona e alle dinamiche, prevalentemente inconsce, che caratterizzano il suo mondo interno.

 

Lo psicoterapeuta non rappresenta un osservatore distaccato, ma è interamente coinvolto nella relazione con il paziente. Proprio la partecipazione affettiva del terapeuta ai vissuti del paziente permette di comprendere la sua particolare modalità di esistere e il significato dei sintomi che porta e di accompagnarlo così in un processo di crescita verso un maggiore benessere e nuove possibilità esistenziali.

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