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L'AUTORECLUSIONE COME NUOVO SINTOMO DI DISAGIO TRA ADOLESCENTI E GIOVANI ADULTI

"Hikikomori" è un termine coniato in Giappone a partire da verbi il cui significato tradotto in italiano è "porsi in disparte", "isolarsi", "ritirarsi". Esso è stato creato per indicare persone, soprattutto di sesso maschile, che ad un certo punto della loro vita si rinchiudono nella propria abitazione o nella propria stanza e limitano il più possibile i contatti diretti con il mondo esterno. In realtà questo termine è utilizzato anche per riferirsi ad un fenomeno che in Giappone risale alla fine degli anni 80 mentre in Italia è più recente e che riguarda la diffusione di tale tendenza ad isolarsi dalla società tra ragazzi e ragazze adolescenti o poco più grandi. Infine hikikomori designa anche un insieme di sintomi che spesso si ritrovano nelle persone che esprimono attraverso tale forma di ritiro sociale la propria sofferenza.

L'aspetto centrale è sicuramente un forte disagio sperimentato nei contesti sociali e il desiderio irresistibile di evitarli; ciò innesca un processo che può portare con tempi e modalità variabili all'isolamento fisico vero e proprio, ma non necessariamente si raggiunge questa condizione più estrema, perciò il fenomeno sembrerebbe riguardare anche coloro che mantengono gli impegni di studio o di lavoro e perfino una certa vita sociale, anche se tutto questo è fonte di grande sofferenza. Ad ogni modo qualche forma di relazione, diretta o indiretta, generalmente viene mantenuta, salvo nei casi più gravi, dove la persona interrompe addirittura i rapporti con i familiari più stretti e i contatti stabiliti attraverso la Rete.

Tale problematica ha esordio più frequentemente in adolescenza e in particolare in concomitanza con il passaggio dalla scuola media alle superiori o con il periodo successivo al diploma e si presenta anche in persone che mostrano di aver acquisito sufficienti competenze sociali. Può rappresentare una crisi transitoria, tuttavia se la persona non accede a qualche forma di aiuto, tende a cronicizzarsi, tanto che oggi in Giappone l'età media delle persone Hikikomori è notevolmente aumentata e la problematica riguarda anche un numero considerevole di persone over 40.

È molto importante non confondere la tendenza al ritiro sociale che caratterizza l'hikikomori con quella legata a determinate psicopatologie. In particolare tale condizione va al di là della fobia sociale e non rappresenta il sintomo di una grave depressione o di una psicosi, inoltre non è sovrapponibile ad una dipendenza patologica poiché l'uso di Internet e delle tecnologie che spesso diviene massiccio nei ragazzi che vivono reclusi rappresenta una compensazione rispetto alla mancanza di relazioni e si può considerare un fattore protettivo in quanto salvaguarda un minimo di interazione con il mondo esterno.

Rispetto ai fattori che possono determinare una tale condizione è scontato affermare che sono numerosi e di molteplice natura. Alcuni di questi riguardano la società odierna che esercita sulle persone forti pressioni verso la realizzazione sociale, impone standard prestazionali elevati ed alti livelli di competizione. Questi aspetti possono mettere in difficoltà chiunque ma alcune persone, per fragilità personali legate alla propria storia, al sistema familiare e ad esperienze negative con il gruppo dei pari (per esempio essere vittima di bullismo), giungono a non tollerarli e pertanto rinunciano a perseguire qualunque obiettivo di realizzazione sociale: queste persone si tolgono per così dire dai giochi.

L'aggettivo volontario che va a connotare questa forma di isolamento sociale può far pensare che si tratti di una scelta, tuttavia dalla prospettiva di chi la compie appare come una scelta piuttosto obbligata: la scelta del male minore. Di certo non la si può considerare una soluzione felice perché la condizione di reclusi, se da un lato serve ad abbassare l'ansia insopportabile sperimentata nel confronto sociale, dall'altro spesso comporta una serie di ricadute negative, come un'ulteriore perdita di autostima e un aumento dei pensieri ossessivi, dell'angoscia legata al tempo che passa inutilmente e al futuro, degli aspetti depressivi.

Per coloro che ruotano attorno alla persona che si isola in questo modo, in particolare per i familiari, non è facile convivere con questa problematica e trovare le giuste modalità di approccio. Il primo passo che un genitore può fare è quello di riconoscere e accettare le difficoltà del figlio, non sminuendole e non drammatizzandole, e di iniziare a riflettere sul proprio ruolo, senza colpevolizzarsi. Infatti tali difficoltà si concentrano nell'abito della relazione e del confronto con l'altro e riguardano soprattutto il giudizio e le aspettative altrui, ma il primo altro che ognuno di noi incontra è proprio il genitore ed è a partire dallo sguardo del genitore che ognuno costruisce l'immagine che ha di sé. Di fatto spesso è nel momento in cui i genitori si decidono a chiedere un supporto per loro stessi che si apre la strada per un cambiamento.

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