top of page

IL FENOMENO HIKIKOMORI E L'ISOLAMENTO SOCIALE LEGATO ALL'EMERGENZA COVID-19

Da quando ha avuto inizio lo stato di emergenza legato al Coronavirus e sono state adottate le misure preventive che hanno imposto alle persone di isolarsi in casa ed evitare i contatti sociali, abbiamo sentito spesso parlare di Hikikomori a sproposito. In particolare i media hanno proposto dei parallelismi ingenui e fuorvianti tra la condizione di autoreclusione di un hikikomori e la condizione di isolamento sociale obbligato a cui le persone sono state sottoposte loro malgrado durante il periodo di lockdown o nelle situazioni di quarantena.

In realtà questi due temi hanno davvero poco a che vedere l'uno con l'altro. Infatti in un caso le persone si isolano in casa per evitare il pericolo esterno e reale del contagio del virus, nell'altro invece è l'angoscia interna legata ad un senso profondo di inadeguatezza che induce il soggetto ad evitare sempre più di esporsi al giudizio di un mondo che ai suoi occhi è diventato una minaccia. Quindi mentre nel primo caso la ragione dell'isolamento è esterna ed oggettiva, nel secondo, quello che riguarda gli hikikomori, alla base di tutto vi è una condizione di sofferenza interna e soggettiva.

Quello che cambia radicalmente è innanzitutto il rapporto con la solitudine. Infatti la persona hikikomori si vive come irrimediabilmente diversa dalle altre, slegata da un mondo che non le appartiene e a cui sente di non appartenere, come se non avesse tutte le carte in regola per essere davvero apprezzata e amata dagli altri. Ed è questo senso profondo di solitudine e alienazione che induce l'isolamento, non viceversa come può essere accaduto alle persone confinate in casa che comunque fuori sapevano di avere qualcuno, un amico, un compagno. Al contrario, durante il periodo di lockdown le ragazze e i ragazzi hikikomori probabilmente non hanno avuto nessuno o quasi nessuno di cui sentire la mancanza, la distanza dagli altri non è stata per loro tanto più grande del solito e sapevano che qualora fosse stato di nuovo possibile uscire nella propria vita sarebbe cambiato poco o nulla.

Lo stesso lockdown ha avuto effetti significativamente diversi sulle persone con problemi legati all'isolamento sociale volontario in rapporto al resto della popolazione. Alcune di queste hanno vissuto il periodo di confinamento in modo positivo, perché hanno tratto un certo sollievo dall'idea che tutti si erano fermati proprio come loro, si sono sentite meno colpevoli per il proprio immobilismo dal momento che non si poteva far altro che starsene a casa e hanno subito minori pressioni da parte dei familiari per farle uscire e riprendere le normali attività. Una parte di loro avrà anche tratto beneficio dalla possibilità di partecipare alle lezioni da casa. Altri hikikomori, invece, hanno vissuto il lockdown con sostanziale indifferenza, perché il loro stile di vita è rimasto pressoché uguale a prima, ma vi è anche chi ha visto peggiorare il proprio stato.

Infatti, se la convivenza 24 ore al giorno con i propri familiari ha reso la quotidianità difficile per tutti, accrescendo il livello delle tensioni e dei conflitti, ciò ha avuto un impatto ancora più negativo sulle persone hikikomori, per le quali spesso la presenza stessa dei familiari è fonte di ansia e pensieri negativi su di sé. Esse hanno visto restringersi ulteriormente i già risicati spazi personali di cui disponevano e sono state private dei pochi momenti di tranquillità di cui potevano godere quando si trovavano da sole in casa. Inoltre a causa del confinamento obbligatorio alcuni hikikomori hanno perduto quei pochi contatti diretti e attività esterne che avevano faticosamente mantenuto o ristabilito e in seguito non sono stati in grado di ripristinarli. In generale sembra che le persone che già avevano la tendenza ad isolarsi con il lockdown siano scivolate ancora di più in questa direzione, per cui oggi, a distanza di sei mesi dall'inizio dell'emergenza, il numero di casi potrebbe risultare più elevato.

Sicuramente l'esperienza del confinamento obbligatorio ha permesso di conoscere anche al resto della popolazione gli effetti negativi del vivere isolati, effetti legati alla deprivazione relazionale e al fatto di passare tanto tempo con se stessi senza poter distogliere la propria attenzione da sé e rivolgerla all'esterno, evitando o rimandando questioni personali difficili da affrontare. Questo può aver acuito, in coloro che già avevano qualche malessere di tipo psicologico, stati di ansia e sentimenti depressivi.

Di certo sperimentare i limiti di una vita da reclusi ci ha offerto la possibilità di comprendere quanto possa essere difficile e dolorosa la quotidianità di un hikikomori e ci ha dato modo di riflettere su quanta sofferenza possa gravare su una persona che "sceglie" una soluzione così drastica. Forse dopo questa esperienza alcuni di noi saranno meno propensi a considerare le persone che si rifugiano dentro le quattro mura della propria camera come dei bambinoni viziati e scansafatiche e saranno più capaci di domandarsi quanto sia faticosa e opprimente l'esistenza di un hikikomori se per lui o per lei vivere in questo modo rappresenta tutto sommato il male minore.

bottom of page